PARASSITI@MIGRANT GARDEN
a cura di Pierluigi Bardi, Stefano Madelli, Tommaso Maserati, Michel Molina, Claudia Saglimbeni, Filippo Sbalbi, Federico Zucchi

Politecnico di Milano, sede di Piacenza; spazio FMG, Milano, giugno-settembre 2015

Organizzato da un gruppo di sette giovani architetti, “Migrant Garden” è un progetto che ruota attorno alle problematiche delle migrazioni forzate dei volatili dell'area dell'Isola de Pinedo, sostenuto e finanziato dal Politecnico di Milano per promuovere una cultura architettonica attenta ai temi della sostenibilità, del paesaggio e della protezione del patrimonio culturale.

migrantgarden@domusweb

 

Breve manifesto per un’architettura parassita

La natura ci insegna che esistono differenti tipi di interazione tra organismi differenti. In molti di essi il vantaggio è reciproco o quantomeno, nel caso il bilancio sia a favore di una delle parti, questo avviene senza danno per l’altra. Nel concetto di parassitismo è insito il prevalere del vantaggio del parassita rispetto all’ospite. Quest’ultimo, nonostante assicuri la sopravvivenza del parassita che si trova in una condizione di dipendenza, finisce per subirne un danno biologico. Perciò siamo abituati a pensare ai parassiti come a qualcosa di fastidioso e negativo. In natura qualunque interazione tra animali della stessa specie o di specie diverse avviene solo se costituisce una qualche forma di vantaggio in termini di sopravvivenza e replicazione dei propri geni. E’ quindi comunque indispensabile il raggiungimento di un equilibrio che impedisca l’estinzione totale e congiunta dei parassiti e dei loro ospiti. Le architetture parassite sono finora state considerate tali soprattutto da un punto di vista morfologico. Rientrano perciò in questa categoria strutture piccole e leggere, spesso temporanee, fisicamente collegate a strutture più grandi, solide e permanenti da cui sono più o meno facilmente distinguibili. Tutte queste caratteristiche sono coerenti con il concetto di parassitismo e costituiscono una base indispensabile per definirlo in termini architettonici. Una ulteriore condizione irrinunciabile perché si possa parlare di architettura parassita è che questa non possa prescindere dalla presenza di un’altra architettura, dalla quale trae il proprio significato, la propria ragione di esistere. In molti casi si tratta di interventi temporanei assimilabili ad installazioni, in cui la dimensione estetica è prevalente, per quanto possibilmente finalizzata alla comunicazione di contenuti articolati e profondi; in altri di espedienti compositivi utili a rendere compatibili interventi di ampliamento e aggregazione di organismi architettonici caratterizzati da linguaggi poco congruenti; in altri ancora di progetti a carattere speculativo finalizzati a ipotizzare scenari di trasformazione e aggregazione di elementi spaziali, il più delle volte basandosi su principi di auto-organizzazione. Per avanzare nello sviluppo di questa categoria è indispensabile spostare l’attenzione dagli aspetti morfologici che ne costituiscono una precondizione, per concentrarsi sul senso profondo delle relazioni, in termini funzionali, fisici e formali, che intercorrono tra i soggetti architettonici che prendono parte all’interazione. Per fare questo può essere utile immaginare che le strutture architettoniche abbiano una propria vita autonoma e che esistano sulla base di una serie di logiche dotate di una coerenza interna del tutto indipendente dalle contingenze della pianificazione, del disegno e della volontà di un progettista sulla cui base sono state realizzate. Ciò non significa ovviamente ignorare l’importanza del progetto nell’ambito dell’architettura, ma un semplice rovesciamento del punto di vista a prescindere che il progetto abbia o meno un autore e una qualità. Così facendo anche l’architettura parassita potrebbe essere valutata sulla base di principi del tutto analoghi a quelli applicabili in ambito biologico. La sua esistenza si giustificherebbe solo in termini di necessità, possibilità, risultati.